Un po' di storia Lucolana

Data di pubblicazione:
15 Gennaio 2021
Un po' di storia Lucolana

Le origini del nome 

Diverse sono le ipotesi sulle origini del nome “Lucoli”, ma quasi tutte propendono per la sua derivazione latina lucus cioè bosco e quindi il diminutivo luculus inteso come boschetto. A testimonianza di ciò, ancora oggi, le sedici frazioni1 che costituiscono il comune sono circondate da piccoli boschi o selve, dette anche macchie. 

I primi documenti che ricordano Lucoli come nome geografico sono due atti notarili del 1062 e del 1074, citati dalla Cronaca Farfense del 1099 del monaco Gregorio di Catino, con cui i fratelli Dodone e Nerino di Bonomo donarono al monastero di Santa Maria di Farfa alcuni loro beni situati “nel territorio reatino, nel luogo nominato Lucoli”. Ancora prima, in un diploma dell’imperatore Ottone I di Germania del giugno 956, viene citato il territorio di Collimento2 come assegnato alla diocesi di Forcona e quindi al vescovo di San Massimo. 

Altri importanti documenti per ricostruire la storia di Lucoli sono la Bolla di Alessandro III del 1178 indirizzata a Pagano, vescovo di Forcona, in cui, tra le località assegnate alla sua diocesi, viene citato anche Lucoli “con le sue chiese, ville e relative proprietà” e la Bolla di Innocenzo III del 1215 in cui vengono elencati i beni che fanno parte dell’abbazia di San Giovanni Battista. Inoltre, nell’Inventario delle decime e censi della diocesi aquilana degli anni 1312-1328 vengono riportate tutte le chiese facenti parte del territorio di Lucoli. 

  • Dalle origini alla conquista romana 

La storia e, in particolare, le origini di Lucoli possono essere ben comprese solo se inquadrate in quelle dell’intero territorio in cui esso è inserito sin dai tempi più lontani. Facciamo riferimento a quella che è conosciuta come la zona di Amiterno (Amiternum in latino) il cui nome deriverebbe dal fiume Aterno che attraversa ancora oggi la città di L’Aquila. Nel versante occidentale della conca aquilana, presso l’odierno San Vittorino, si trovano le rovine di questa città dei Sabini che, nel 293 a. C. (al termine delle guerre Sannitiche), fu conquistata dai Romani durante la loro espansione nel Centro-Sud Italia. All’inizio fu “prefettura” per poi essere promossa a “municipio” durante l’età augustea.  Sotto il dominio di Roma fu un importante centro urbano (si contavano decine di migliaia di abitanti) perché importante nodo stradale: era situata lungo l'antica Via Cecilia che arrivava fino ad Hatria e, inoltre, dalla città partivano la Via Claudia Nova e due diramazioni della Via Salaria. Amiternum è ancora presente nel Medioevo fino a circa l’anno mille con una serie di vescovi, dopo di che venne unita alla diocesi di Rieti e da quel periodo cessò la sua esistenza. 

Diversi personaggi di rilievo nella storia romana nacquero ad Amiternum; il più antico che si ricordi è il console Appio Claudio Cieco, importante figura nel periodo delle guerre di Roma contro i Sanniti e ricordato soprattutto per aver avviato la costruzione della Via Appia nel 312 a.C. Nel 86 a.C. nacque nella città lo storico Sallustio e, circa un secolo dopo, vi nacque Ponzio Pilato, futuro prefetto della Giudea noto per aver processato e condannato Gesù Cristo ed in seguito condannato a morte da Tiberio. La regione circostante sarebbe legata anche all'ultima parte della vita di Pilato: secondo alcune leggende il corpo del procuratore sarebbe stato lasciato insepolto nei dintorni presso il lago di Pilato come ulteriore punizione. Inoltre, sembra che possedesse una villa nel luogo detto oggi montagna di Pilato, presso Fontecchio. 

I resti di Aminternum sono diversi e ben conservati, situati in località San Vittorino. Tra i più interessanti vi è un anfiteatro del I secolo d.C. che poteva contenere fino a 6000 persone, i cui due piani sono in buone condizioni; un teatro di età augustea di 80 metri di diametro e posti per 2000 persone; una villa di tarda età imperiale, con mosaici e affreschi. Vi sono, inoltre, resti di terme e di un acquedotto risalenti anch'essi all'età di Augusto; diverse sono poi le epigrafi ed il materiale scultoreo ed architettonico conservato nell'area. 

Tracce della presenza romana a Lucoli le ritroviamo in quella zona che era conosciuta come Silva Plana (oggi corrispondente al territorio di San Menna; lo stesso San Menna, venerato nella chiesa parrocchiale, era un soldato egiziano alle dipendenze dell’esercito romano); sono testimonianza di ciò le numerose epigrafi latine rinvenute e che oggi possiamo osservare incastonate nei muri di antichi edifici. Esse costituiscono un’importante fonte storica dell’esistenza di non pochi villaggi del nostro comune durante l’epoca romana. 

 

  • Il ducato di Spoleto 

La storia di Lucoli continua, poi, inserita in quella del Ducato di Spoleto, un antico stato dell’Italia centrale fondato da Alboino, re dei Longobardi, nel 570 con capitale  Spoleto e comprendente le attuali regioni dell’ Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.  Il Ducato di Spoleto si immette nella situazione post-caduta dell’impero romano che porterà tutta l’Italia sotto il dominio longobardo. L’intera penisola fu così caratterizzata dalla presenza dei bizantini, che occupavano grossomodo l’estremo meridione e le isole e i longobardi, che, invece, occupavano gran parte del resto d’Italia. Con il crollo del dominio longobardo dovuto alla pressione dello Stato Pontificio e ai Franchi, il Ducato di Spoleto cadde sotto il dominio franco. Dopo varie vicissitudini, nel 1198, il Ducato entrò a far parte dello Stato Pontificio. Sotto il dominio dei longobardi il territorio di Lucoli venne diviso in “castaldati3”,: il nostro contado,infatti, appare soggetto quando al Castaldato Reatino, quando a quello di Amiterno e quando al Forconese. 

 

 

  • La Contea di Celano 

Alla fine dell’ottocento i Franchi cominciarono a prevalere in Italia e quindi anche in Abruzzo (il fiume Pescara segnava il confine tra Longobardi, che amministravano il Ducato di Benevento, e i Franchi che avevano in mano quello di Spoleto). I castaldati presero il nome di “contee” e la più grande contea d’Abruzzo (detto allora Marsia) fu quella di Celano. Ne aveva la giurisdizione il conte Berardo il Francico che la ripartì tra i suoi figli e discendenti. Fu così che nacque anche la Contea di Collimento (che la tradizione popolare addita ancora la sede in fondo al paese di Collimento, sullo scoglio roccioso conosciuto come “il Castello”). Questa contea comprendeva gran parte dei territori di Amiterno e di Forcona; il suo primo signorotto fu Odorisio, nipote di Berardo, che, nel 1077, fondò e dotò l’Abbazia di San Giovanni Battista di Collimento. Tale contea rappresentò, dopo la caduta e la distruzione di Amiterno, Aveia e Forcona, uno dei più sicuri e validi complessi di difesa di tutto il circondario, ed inoltre era considerato il Castello più importante tra quelli soggetti allo Stato Pontificio. 

Si ritiene che successori dei Conti Collimentani, Franchi di origine, fossero stati i Conti Mosca, nativi di Collimento, dove esistono tuttora due palazzi dei loro ultimi discendenti: quello di Marco Mosca in Largo Properzi e l’altro di Carlo Mosca nel centro del paese dove si trovano pure il Largo Mosca e l’Aia Mosca. Anche nell’abbazia di San Giovanni sono riportate epigrafi mortuarie e stemmi di questa famiglia. 

 

  • Il Regno dei Normanni 

Il X secolo vide l’imposizione dell’autorità normanna. I figli di Ruggero II invasero, infatti, la Marsica, Forcona, Amiterno, Cicoli e Rieti. Questi nuovi invasori, in genere, rispettarono vescovati e comitati esistenti, ma non quelli Forconesi e Collimentani, forse perché avevano opposto resistenza alla loro avanzata.  

È anche questo il periodo in cui cominciò un regime di signorie fondiarie (ancor prima dei feudi) che esercitarono una forte attività di sfruttamento contadino. Tutte le frazioni lucolane nascono come case coloniche feudali o abbaziali, dislocate qua e là per comodità dei villici addetti al lavoro delle varie zone.  

 

  • Il Vescovado di Forcona 

La città di Forcona oggi si identifica a nord-ovest del Gran Sasso sulla collina Moritola e sotto le fondamenta di Civita di Bagno, ora frazione di Bagno (a 6 Km dall’Aquila). Della fastosa città rimangono i ruderi della città romana, quelli della cattedrale di S. Massimo, la torre campanaria internamente affrescata e la neo-scoperta necropoli. Forcona, con i suoi territori, venne posta sotto l'esarca di Ravenna fino all'invasione longobarda. Il popolo dei Longobardi fondò il Ducato di Benevento, con ramificazioni che arrivavano ben oltre la città di Amiternum distruggendo la città vestina di Aveia4 che dovette cedere la sua diocesi a Forcona facendola diventare Civitas Sancti Maximi. I Longobardi introdussero in queste zone, dopo la battaglia di Siponto nel 663, il culto di San Michele Arcangelo (loro protettore) effigiandolo sugli stendardi e persino sulle monete. E' in questo periodo che, presso l'attuale San Vittorino Amiterno, si inizia la costruzione di un paese intorno al santuario dedicato all'Arcangelo, consacrato nel 1170 e restaurato nel 1528.  

La diocesi aquilana ha origini molte antiche essendo, nel suo nucleo originario, la continuazione di quella di Forcona5, la cui cattedra fu trasferita a L’Aquila da papa Alessandro IV nel 1256. Lucoli, data la sua posizione, ricadeva sotto la diocesi di Forcona e quindi non rientrò nei contrasti che interessarono i paesi della parte più orientale del contado aquilano posti sotto la giurisdizione vescovile di Valva (come si chiamava un tempo la diocesi e il contado che ebbero per centro Sulmona). Numerosi furono i vescovi locali (anche dopo che Carlo V pretese che alcuni vescovi del Regno di Napoli, L’Aquila compresa, fossero di presentazione regia): a noi basti ricordare Giambattista Gaglioffi (1486-1491), primo abate secolare dell’abbazia di San Giovanni e Francesco Saverio Gualtieri (1792-1818), originario della frazione Colle di Lucoli. Anche la suddivisione parrocchiale venne modificata su base territoriale nel 1851; infatti, sino ad allora, si apparteneva all’una o all’altra parrocchia non in base alla residenza in una determinata zona della città o del contado, ma in base alla lontana discendenza da questo o da quel castello. Lucoli, data la vastità del territorio e le antiche origini, si trovò così divisa in cinque parrocchie: San Giovanni Battista (per le frazioni di Collimento, Casavecchia, Piaggia, Spogna, Spognetta, Lucoli Alto, Vado Lucoli, Colle, Prata e Peschiolo), San Luca (per Casamaina), Sant’Andrea, Santa Croce e San Menna per le rispettive frazioni. 

 

  • L’abbazia di Farfa 

L’abbazia di Farfa è uno dei monumenti più insigni del medioevo europeo: ebbe il patrocinio di Carlo Magno e possedette, nel periodo di massimo splendore, una vastissima porzione dell’Italia centrale. Le sue origini vengono fatte risalire alla metà del VI secolo e, nell’VII secolo, il monastero godette anche della protezione del Duca di Spoleto. Farfa era, quindi, un’abbazia imperiale svincolata dal controllo pontificio, ma vicinissima alla Santa Sede. I possedimenti farfensi, soprattutto nell’anno mille, furono vastissimi: comprendevano, infatti, zone del Lazio, dell’Umbria, delle Marche, dell’Abruzzo e del Molise. L’Aquila, e quindi Lucoli, rientrarono tra essi. La decadenza dell’impero carolingio e la penetrazione dei saraceni furono fatali per la sopravvivenza dell’abbazia che fu presa e incendiata sul finire dell’anno mille. Ricostruita e ampliata per interessamento di alcune facoltose famiglie romane, nel 1861 fu confiscata dallo Stato Italiano e, dal 1921, appartiene alla comunità benedettina di San Paolo fuori le mura.   

  • Lucoli e L’Aquila 

Il XIII secolo vede protagonista il governo degli Svevi di Federico II. Infatti, a metà del 1200, come vuole la tradizione, venne fondata la città dell’Aquila per volere dello stesso imperatore. 

Con la caduta del feudalesimo si affermò un altro istituto giuridico detto Comune. I Comuni del Regno delle Due Sicilie, Abruzzo compreso, si dicono sorti tra i secoli XI-XII per liberarsi dal servaggio dei conti e baroni feudali, facendo capo a vescovi e abati quali dirigenti del movimento democratico guelfo. Lucoli fu certamente uno di questi: all’inizio fu governato da un console, poi, a costui subentrò un magistrato, detto potestà, che doveva essere forestiero vale a dire estraneo ai partiti locali. Tutti i comuni però, pur avendo ottenuto una certa libertà, restavano in sostanza soggetti al conte che era di nomina regia, il quale continuava a gravarli di tributi destinati a se stesso e al re. Fu proprio per questi eccessivi fiscalismi che la gente di Amiterno e Forcona fece ricorso al papa Gregorio IX per essere consigliata e aiutata. Il Pontefice, commosso e indignato, il 7 settembre 1229 indirizzò agli abitanti una Bolla con la quale li esortava a riunirsi e a fondare una città indipendente “ad locum Acculae”. Prima di dare inizio alla costruzione della città dell’Aquila, il re Corrado IV assegnò ad ogni castello del contado un sito dove costruire una piazza, una chiesa ed una fontana (principali opere di urbanizzazione dell’epoca). Lo spazio riservato a Lucoli si estendeva dalla Rivera a Belvedere. Dopo la riedificazione della città, distrutta da Manfredi nel 1259 e riedificata da re Carlo I d’Angiò nel 1266, Lucchesino da Firenze, Capitano del popolo, ripartì L’Aquila in quattro quartieri o rioni: San Giorgio (successivamente detto di Santa Giusta), Santa Maria Paganica, San Pietro e San Giovanni di Lucoli (detto poi di San Marciano). Il Quartiere di Lucoli prese il nome di San Giovanni Battista, suo protettore sia in città che nel paese; aveva una porta e una strada che dalla Rivera, passando per la mulattiera montana Roio-Valle Maiure, conduceva alle varie frazioni di Lucoli. Oltre alla chiesa parrocchiale vi furono costruite quelle di Santa Croce, Sant’Andrea e San Menna (tutte andate distrutte prima del 1750). Di questo stesso quartiere faceva parte anche il convento delle Clarisse di Collimento in Acquili, poi chiamato di Santa Chiara (oggi gestito dai Cappuccini). Sopra questo edificio, in via xx Settembre, si innalzava la grande e bella chiesa di San Giovanni Battista di Collimento, il cui portale, in stile classico, fu riadattato alla facciata dell’attuale chiesa di San Francesco di Paola dopo che la chiesa andò distrutta. Ancora oggi, sul prospetto di tale chiesa, è possibile osservare l’esempio più antico dello stemma del comune di Lucoli. 

 

Stemma del Comune di Lucoli e dell’Abbazia di San Giovanni Battista 

Da questo momento in poi la storia di Lucoli si confonde con quella dell’Aquila: dal breve papato di Celestino V all’assedio di Braccio da Montone che la portò a diventare la seconda città del Regno di Napoli, dalle lotte fra i vari castelli (si pensi a quelle tra Roio e Lucoli e tra Tornimparte e Lucoli) per la proprietà delle campagne e dei colli da pascolo e dai contrasti tra gli abitanti dentro L’Aquila e quelli fuori, fino al terremoto del 1703 (che distrusse gran parte della città e dei paesi vicini) e ai moti rivoluzionari per l’Unità d’Italia (Pietro Marrelli di Lucoli offrì un grande contributo a tale opera). 

Il 29 luglio 1927 il comune di Lucoli venne soppresso con un decreto e il suo territorio fu annesso al comune di L'Aquila per la formazione della Grande Aquila. Stessa sorte toccò ad altri sette comuni aquilani, ma Lucoli fu l'unico che, nel 1947, riacquistò la sua autonomia

Ultimo aggiornamento

Martedi 26 Gennaio 2021